Cronaca
27 Novembre 2014
Secondo i legali del critico d'arte ferrarese le offese a Tommassoni nacquero da un fraintendimento del giornalista

Diffamazione, Sgarbi punta il dito contro l’addetto stampa

di Ruggero Veronese | 4 min

sgarbi 2Dalle liti sull’autenticità dei quadri al processo penale sulla ‘autenticità’ delle offese, il passo è breve. Lo sa bene il famoso critico d’arte ferrarese Vittorio Sgarbi, a processo per diffamazione nei confronti dell’avvocato Italo Tommassoni, da tempo suo avversario nella spinosa questione della collezione delle opere di Gino De Dominicis e tacciato nientemeno che di “dilettantismo” nel campo delle conoscenze artistiche, oltre che di aver “plagiato” l’unico erede dell’artista marchigiano per ottenere vantaggi personali.

Fu davvero Sgarbi a pronunciare queste ed altre parole, riportate con tanto di virgolettato in un articolo sul quotidiano online Notix.it? O si tratta soltanto – come affermano i difensori del critico d’arte – di un semplice malinteso, dovuto a un errore di un addetto stampa distratto o di un cronista a caccia di scoop? È quanto dovrà accertare il tribunale di Ferrara, chiamato a pronunciarsi sulla causa per diffamazione intentata da Tomassoni verso Sgarbi. Il seme della discordia tra i due – comunque secondario per quanto riguarda il processo – è ormai radicato. Tutto ruota attorno alla raccolta e alla catalogazione delle opere di De Dominicis, che vede contrapposti due diverse collezioni: l’Archivio Gino De Dominicis, curato da Tommassoni su incarico degli eredi dell’artista, e la Fondazione Gino De Dominicis.

È il novembre del 2012 quando Tomassoni si accorge di un annuncio sul Corriere della Sera in cui si legge che “La Fondazione Gino de Dominicis ha in preparazione il catalogo generale dell’opera di Gino de Dominicis. Chiunque sia in possesso di opere, lettere e materiale fotografico relativo alla vita e all’attività dell’artista, può inviarne la documentazione presso: Vittorio Sgarbi, Corso Vittorio Emanuele II 141, 00186 Roma”. L’avvocato non perde tempo e invia un esposto alla procura di Perugia, chiedendo il sequestro delle opere in mano alla fondazione e contestandone in diversi casi anche l’autenticità. Saranno i carabinieri a operare il sequestro dei quadri, esposti nella mostra a Venezia “Gino De Dominicis. Teoremi Figurativi”, curata proprio da Sgarbi.

La reazione di Sgarbi è a dir poco indignata: il quotidiano Notix.it pubblica un articolo in cui si riportano alcune sue frasi ben poco diplomatiche e dalle quali nascerà la querela per diffamazione di Tommassoni. Il critico ferrarese vede giudica il sequestro come “un’azione approssimativa e superficiale” dietro la quale ci sarebbe stata “l’insensata iniziativa dell’avvocato Italo Tomassoni, di cui è nota la predisposizione dilettantesca e la pretesa di un’autorità nel riconoscere l’autenticità delle opere di De Dominicis. ‘Autorità’ che non gli viene né da studi né da specifiche competenze (infatti il suo mestiere è avvocato), e che è esercitata attraverso il vero e proprio plagio (o circonvenzione di incapace) dell’unica incompetente ed inesperta erede di De Dominicis, che gli lascia evidentemente, carta bianca”. Per non parlare dell’operato della procura di Perugia, che avrebbe dovuto “verificare lo stato della questione e le iniziative velleitarie e megalomani, attraverso un ruolo autoreferenziale, del Tomassoni”, operando un sequestro visto come “atto arbitrario” che determinerebbe “una ingiusta mortificazione dell’impegno di esperti disinteressati che non hanno mai fatto una perizia o venduto un’opera di De Dominicis, e del convinto impegno del collezionista, pesantemente umiliato”. Infine, conclude Sgarbi, “lo Stato non può compiere errori di tale leggerezza, violando la proprietà privata e chiamando false opere autentiche sulla base del delirio di un esperto, non privo di interessi, fatti passare per ideali e per difesa del diritto d’autore”.

Parole comparse nero su bianco su un quotidiano e in cui le accuse a Tommassoni certo non mancano. L’avvocato dal canto suo si è costituito parte civile attraverso e ieri sono comparsi in udienza due critici d’arte in qualità di testimoni per ‘certificare’ le sue competenze in campo artistico. Gli avvocati della difesa, Giampaolo Cicconi e Paolo Rossi, sostengono però che le parole di Sgarb potrebbero essere state alterate e amplificate dal quotidiano web, a causa di un errore dell’addetto stampa o dell’autore dell’articolo. Durante la prossima udienza compariranno quindi la direttrice della testata e il giornalista che riportò i virgolettati, oltre all’addetto stampa di Sgarbi, che dovranno chiarire quali furono le reali parole del focoso – e di certo non nuovo alle sfuriate improvvise – critico d’arte ferrarese.

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